2011 – Cos’è il MES?

A consolidare i fondamenti economici dell’Unione, sopraggiunge nel 2011 il MES o Meccanismo Europeo di stabilità, noto più comunemente come Fondo salva Stati. Il MES sostituisce il Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) e il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (MESF) nati per salvare Portogallo e Irlanda dalla tempesta finanziaria del 2008.   Il MES è attivo dal 2012 con una capacità di 650 milioni di euro. Il Fondo ha il compito di emettere prestiti ai paesi in difficoltà acquistandone titoli di stato sul mercato primario, cosa fra l’altro non concessa alla BCE che può acquistarli solo sul secondario. Il prestito da parte del MES non si esaurisce nel solo tasso d’interesse, fisso o variabile, applicato alla somma ricevuta. Il Fondo infatti si preoccupa anche di imporre allo stato usufruente del prestito una serie di correzioni macroeconomiche per reindirizzare il paese verso un sentiero di crescita economica sostenibile, meno incentrata sul debito.   Il MES quindi ha caratteristiche simili al Fondo Monetario Internazionale, ma in un contesto tutto europeo.

 

2012 – Il Fiscal Compact.

Il Fiscal Compact o Patto di bilancio europeo è un trattato sancito col preciso intento di inasprire ulteriormente le norme già adottate con il precedente Patto di stabilità e crescita.

 

Possiamo ricondurre l’inasprimento delle norme alla mancanza di un bilancio federale europeo. La centralizzazione della politica monetaria non è stata mai accompagnata da un processo similare che andasse a coinvolgere anche le decisioni di politica fiscale, questo ha creato un inevitabile vuoto istituzionale e normativo che le istituzioni europee hanno cercato di colmare adottando provvedimenti sempre più rigidi ed aspri. Il patto prevede per i paesi contraenti l’inserimento di diverse clausole nel proprio ordinamento statale, o con norme di rango costituzionale o tramite legislazione ordinaria.

Fra i diversi vincoli da inserire negli ordinamenti degli stati aderenti, evidenziamo:

  • il bilancio dello Stato dovrà essere in pareggio o in attivo; • tale regola si considera rispettata se il disavanzo strutturale dello Stato è pari all’obiettivo a medio termine specifico per Paese, con un deficit che non eccede lo 0,5% del PIL; • gli Stati contraenti potranno temporaneamente deviare dall’obiettivo a medio termine o dal percorso di aggiustamento solo nel caso di circostanze eccezionali, ovvero eventi inusuali che sfuggono al controllo dello Stato interessato e che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione, oppure in periodi di grave recessione, a patto che tale disavanzo non infici la sostenibilità di bilancio a medio termine; • qualora il rapporto debito pubblico/Pil risulti significativamente al di sotto della soglia del 60%, e qualora i rischi per la sostenibilità a medio termine delle finanze pubbliche siano bassi, il valore di riferimento del deficit può essere superiore allo 0,5%, ma in ogni caso non può eccedere il limite dell’1% del PIL; • nel caso di deviazioni significative dal valore di riferimento o dal percorso di aggiustamento verso di esso, le parti contraenti dovranno attivare un meccanismo di correzione automatica, che includa l’obbligo per la parte contraente interessata di attuare le misure per correggere la deviazione entro un determinato termine temporale.

 

L’Italia con legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 ha pertanto introdotto nella Costituzione, in coerenza anche con quanto disposto da accordi internazionali quali il c.d.

Fiscal compact, il principio dell’equilibrio strutturale delle entrate e delle spese del bilancio (Dal sito del Parlamento italiano, http://www.parlamento.it/home).

2017 – Oggi.

La volontà politica da parte degli stati nazionali è stata chiara fin da sempre: la sovranità della politica fiscale non è mai stata messa in discussione. La scelta di decentralizzare in toto la politica monetaria in favore di un istituto centrale atto a garantire la stabilità monetaria, e quindi economica, dell’Eurozona senza che vi sia un processo di integrazione fiscale ha generato un’asimmetria strutturale all’interno dell’Unione. Un’unione monetaria può essere completata da un’integrazione delle politiche fiscali dei paesi aderenti. Questo per garantire una maggiore efficacia delle politiche monetarie, che, se accompagnate da adeguate manovre fiscali, possono aver un maggior impatto sull’economia dell’Eurozona.  Se le politiche monetarie non convenzionali adottate dalla Banca Centrale fossero state seguite da adeguati provvedimenti di natura fiscale, come accaduto negli Stati Uniti durante la precedente amministrazione Obama, avrebbero avuto un impatto di gran lunga maggiore rispetto a quanto avuto sinora.  Ma il processo d’integrazione europeo ancora non è terminato, la strada da percorrere è ancora lunga e tortuosa e non si può di certo escludere un ulteriore passo verso il perfezionamento dell’unione monetaria da parte delle istituzioni di Bruxelles. Le criticità e le incongruenze insite all’interno dell’Unione si sono ampiamente palesate durante gli anni della crisi finanziaria. Basti pensare a quanto accaduto fra il 2010 e il 2011 con la crisi del debito sovrano figlia della fragilità del sistema istituzionale e bancario europeo.

L’Europa ad oggi si trova di fronte ad un bivio: o si continua nel processo di integrazione fra gli stati membri o si decidere di optare per un graduale processo di disgregazione.

PRO

– Una valuta forte e stabile

– Una banca centrale credibile

– Maggior attenzione alle finanze pubbliche (Maastricht ’92)

– Nascita di un mercato unico (libera circolazione di capitali, beni, servizi e cittadini)

– Inflazione contenuta e sempre sotto controllo (obiettivo 2% nel medio termine)

CONTRO

– Sistema germanocentrico

– Assenza di unione politica

– Perdita della sovranità monetaria degli Stati aderenti in favore della BCE

– Economie fortemente eterogenee suscettibili di forti shock

– Assenza di un bilancio federale europeo, politiche fiscali soggette a rigidi vincoli di bilancio

Sulla base di quanto detto sinora possiamo dire che attualmente l’Euro è una valuta “rifugio”, la divisa europea può infatti contare su una Banca centrale credibile, i tassi d’interesse sono bassi e l’Eurosistema garantisce un severo controllo del debito e dell’inflazione un con una serie di norme e vincoli stringenti.

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