Banche centrali e politiche monetarie

Le politiche monetarie delle banche centrali sono sostanzialmente di due tipi, espansive e restrittive, e vanno ad incidere sui tassi d’interesse.  La Banca centrale è l’istituto detentore del monopolio della creazione di moneta e ne sarà pertanto l’unico offerente. Quello della moneta quindi, differentemente dai mercati rappresentati sopra, è un mercato particolare, in quanto a fronte di una moltitudine di soggetti che richiedono il bene moneta – banche commerciali e pubblico in generale – vi è un solo soggetto che la offre – la Banca centrale appunto – che ne controllerà quindi l’ammontare per perseguire i suoi scopi.    Una politica monetaria si configura quindi come una scelta sulla quantità di moneta che deve circolare all’interno del sistema economico o sul tasso di interesse di breve termine che deve vigere, il che è lo stesso. Se una banca centrale, autorità decisoria in materia, opta per una politica monetaria espansiva, significa che vuole iniettare moneta nel sistema e quindi abbassare i tassi d’interesse. L’eccesso di moneta infatti, per la stessa legge della domanda e dell’offerta vista sopra, fa abbassare il suo prezzo, che è appunto rappresentato dal tasso d’interesse.  Perché una banca centrale dovrebbe aumentare la moneta in circolo adottando una politica monetaria espansiva, o, come ormai comunemente detto, di quantitative easing?

Questa, nel framework macroeconomico, è una delle classiche misure di stimolo ad un’economia in contrazione, che sta registrando cioè dati negativi sul PIL, sull’inflazione o su altre variabili di rilievo. La moneta è infatti la leva della domanda di beni e servizi da parte del pubblico. La domanda di beni, almeno nel breve periodo, detta il livello della produzione (PIL): se c’è domanda quindi, c’è produzione, c’è occupazione e ci sono redditi aggregati e pro-capite elevati. Pertanto quando arrivano segnali negativi dall’economia le banche centrali tenderanno ad assumere un profilo espansivo. L’abbassamento dei tassi d’interesse è la chiave di lettura di tale decisione. Un tasso d’interesse basso oltre a disincentivare il pubblico ad immobilizzare le proprie risorse in strumenti finanziari e contemporaneamente, come detto, ad incentivare la spesa in beni di consumo, incoraggia anche la richiesta di credito da parte del pubblico alle banche. Il tasso d’interesse è infatti anche qualificabile come costo del debito: se è minore, consumatori ed imprese saranno incentivati a richiedere prestiti e con le risorse ottenute ad aumentare gli investimenti reali (creazione di nuove imprese ed espansione di quelle già esistenti) con benefici diffusi ed espansione per l’intero sistema economico.

D’altro lato, le politiche monetarie restrittive, che consistono nel ritiro di moneta dal sistema causando tassi d’interesse maggiori e disincentivo ad aumentare gli investimenti reali, sono utili a placare un’economia in eccessivo surriscaldamento i cui prezzi interni si sono incanalati verso una dinamica esplosiva. Questo accade quando la domanda aggregata di beni e servizi è eccessivamente elevata rispetto alle effettive capacità produttive del sistema. Come descritto sopra per il singolo bene, anche qui, nell’aggregato, la legge della domanda/offerta opera a pieno regime: l’eccesso di domanda a parità d’offerta trascina in alto i prezzi generando inflazione: se non si interviene con misure restrittive si rischia di cadere in circoli viziosi recessivi.

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